mercoledì 27 marzo 2013

vizi capitali


Quanto è stato scritto su queste devianze che distruggerebbero l’anima umana! Già Aristotele li definì “abiti del male”, poi i primi Cristiani li analizzarono e ne classificarono nove, che divennero poi sette, come lo sono tuttora e chiamati: ”Peccati capitali”.Cosa potrei aggiungere o togliere a quanto detto e scritto in tutti questi secoli da menti eccelse? Eppure qualcosa in merito mi sento di dire, perché le condizioni della società moderna sono cambiate moltissimo e loro non avrebbero potuto neanche lontanamente immaginare cosa sarebbe potuto accadere accadere.
Ai sette peccati capitali, io ne aggiungerei due; e più precisamente: il pressappochismo e i qualunquismo.
Nel passato, una persona superficiale non poteva arrecare nessun danno, al massimo veniva considerato sempliciotto e tutto finiva lì. Attualmente le cose possono essere molto diverse, la nostra società è complessa, ha molte ramificazioni, un’azione sbagliata può portare conseguenze gravi per migliaia di persone. Ad esempio: il figlio di un imprenditore, che si trova a capo di un’azienda, perché ereditata, o per grosse raccomandazioni ricevute ed è un “superficiale”, prenderà decisioni tanto per prenderle, o non le prenderà. In poco tempo l’azienda fallirà e migliaia di famiglie soffriranno a causa sua. Non è solo teoria, purtroppo è già capitato.
Il qualunquismo, è un atteggiamento di un movimento nato nel secondo dopo guerra di disinteresse verso i partiti e un prevenuto giudizio negativo verso le istituzioni pubbliche. Tale atteggiamento si è nel tempo espanso, come numero, ma la cosa più grave è che tale credo di disinteresse ora riguarda tutto e tutti. Immaginatevi quali danni possono fare questi tipi di persone alla società, quando arrivano al comando; loro ci arrivano facilmente, una spinta qua, una là e avanti.
Come vedete queste due categorie di persone non appartengono a nessun tipo di peccatori catalogati nel passato; sono due tipi di “peccatori sociali” che dobbiamo, non solo isolarli, ma  dobbiamo combatterli per proteggere la nostra società.

giovedì 21 marzo 2013

La gratitudine


Dovremmo smettere di sentirci in colpa perché non riusciamo ad essere grati verso qualcuno che ci ha fatto una cortesia. La cortesia verso qualcuno viene fatta senza nessun tornaconto, né materiale, né spirituale; altrimenti sarebbe un contratto di scambio tra le parti. Questo non vuol dire che non dobbiamo essere grati a nessuno, ma vuole semplicemente dire che, se proviamo questo sentimento, bene, altrimenti, bene ugualmente.
Aristotele diceva che: ”La gratitudine invecchia presto”. Lasciamola pure invecchiare, non dobbiamo certo sforzarci di avere questo sentimento, ci creerebbe solo sensi di colpa, a noi dannosi.
La gratitudine, secondo me, è un sentimento bellissimo e gratuito. Mentre siamo grati a qualcuno o a qualcosa dobbiamo gioire nell’essere noi i destinatari di ciò che ci accade e non pensare a come potremmo ricambiare, sarebbe la fine della gratitudine. Mettiamo, ad esempio che Tizio faccia beneficenza a Caio, ebbene tizio non può aspettarsi gratitudine da Caio, non sarebbe, il suo, un gesto disinteressato. Caio non deve sentirsi in colpa se non sente gratitudine e neanche deve pensare a come poter ricambiare la beneficenza ricevuta.
Noi possiamo essere enormemente grati a per lo spettacolo che ci può offrire un bellissimo tramonto. Esso non ci chiede e non ci chiederà mai nulla. E’ questo l’atteggiamento giusto che noi dobbiamo avere verso questo sentire.


sabato 2 marzo 2013

Ti auguro tanta serenità


Serenità è il termine con cui si descrive la condizione emotiva individuale caratterizzata, a livello interiore ed esteriore, da tranquillità e calma non solo apparente, ma talmente profonda da non essere soggetto nell’immediato a trasformazioni di umore, ad eccitazioni o perturbazioni. Questo è il significato odierno della serenità, tratto dal dizionario.
Personalmente, augurare ad altri serenità, mi sembra un augurio riduttivo rispetto alla grandezza e forza della vita.
Questi “santoni sereni” che sono assenti dai turbamenti e dal dolore, che accettano con abbandono del proprio spirito la sorte che il “destino” gli assegna, mi sembra che non vivano la vita vera. Sarà perché il mio motto, parafrasandone uno molto famoso è: penso, quindi vivo e gioisco.
La vita spesso non è semplice, è faticosa, dolorosa, comporta impegno, ma è vivendo con consapevolezza e conoscenza che si gusta pienamente la vita. Dobbiamo far gioire i nostri sensi guardando con stupore i magnifici paesaggi che la natura ci offre, gustare con piacere la varietà di cibo a nostra disposizione, gioire delle carezze che il nostro partner ci offre, ascoltare con trasporto la musica che più ci piace ed infine, per arrivare al massimo dell’estasi, ci sono i libri e l’arte, che fanno volare il nostro spirito. In tal modo, spesso si gioisce e qualche volta si raggiunge la felicità totale.
Dal momento che facciamo gli auguri, auguriamo il massimo, cioè la felicità; essa esiste, smettiamo di non credere alla sua esistenza.